1 dicembre 2012

Il Viaggio



Potrei rimanere a raccontare di me per ore, perché sono quel che si dice un egocentrico. Mia sorella
me lo ripete in continuazione con quella sua parlata lenta e strascicata che mi ricorda lo stridere
di un gesso sulla lavagna. Ma devo rivelarvi una verità difficile e poco nobile, sono scappato da
me stesso. “Come?” mi chiederete voi. Beh ammetto solo che è stato difficile e incredibilmente
doloroso, come può esserlo solo il teletrasporto. Nah scherzo, ecco come è andata.

C’è una voce che mi invita al silenzio e alla meditazione, a raccogliermi in me stesso e poi nel mio
cervello commenta delle immagini che si susseguono, un caleidoscopio di luoghi e sentimenti. E
poi mentre credo di essere finito in un incubo ecco che piano piano vedo qualcosa, qualcosa che mi
sembra estremamente familiare.
Mi trovo sulla grande muraglia cinese a contemplare i chilometri di mattoni che la costituiscono
e tutto quel verde che la circonda e sullo sfondo il rintocco di un gong che si propaga nell’aria
immobile del mattino.
Sono su una spiaggia, dietro di me una scia di orme che lentamente viene demolita dalla marea
che si alza. La sabbia bagnata e soffice sotto i miei piedi rugosi per essere stati troppo tempo in
ammollo e all’orizzonte solo una distesa indefinibile di acqua limpida e pura. Conchiglie fanno
capolino tra i granelli affastellati sulla battigia e vicino a me solo qualche palma accarezzata dal
sole.
Mi riposo schiacciato contro un albero mentre contemplo una cima innevata e gli stambecchi
saltano a pochi metri da me. I sempreverdi respirano nel vento che sa di resina e il muschio segna
un sentiero in ombra. Rocce grigie si accumulano dappertutto rivestite di licheni mentre cerco di
scoprire una stella alpina, quei fiori bianchi che mi hanno sempre affascinato.
Mi guardo intorno nel traffico congestionato nel mezzo di Times Square con i cartelli luminosi
che lampeggiano i loro messaggi pubblicitari in ogni direzione, con la gente che corre di qua e di
là senza fermarsi mai. Vita, grida e rumore assordante, confusione e ordine incostante. Macchine
impazzite e i colori sgargianti di una città che non dorme mai.
Una tigre di fronte a me che si muove lenta nella giungla selvaggia, dove Tarzan vive con Jane e io
mi muovo instabile e insicuro con la flemma di chi non sa dove andare. Il sole penetra tra le fronde
dei baobab e le liane si aggrovigliano tra i tronchi enormi di un paesaggio che non viene disturbato
da centinaia di anni.
Passeggio tra le mura di un castello, perso su un colle impervio, circondato da un bosco, con
un ponte levatoio chiuso a proteggere il signorotto della città. Mi perdo tra i vicoli stretti che si
arrampicano fino all’edificio principale dove arazzi nascondono la vista della sala del trono.
Sono in mezzo alla steppa frustrata dal monsone, un’immensa distesa grigia persa nel dimenticatoio
di un popolo che si muove in groppa ad un mulo, mentre cammina verso un passato ormai perduto.
Rabbrividisco nel freddo spietato dei ghiacciai, circondato da pinguini e orsi bianchi, l’acqua gelida
che circonda iceberg candidi. La luce è accecante, i tenui raggi che arrivano vengono riflessi in ogni
direzione e il silenzio è disarmante. Si sente l’eco dei miei pensieri fragili che girano in tondo e
cercano di dare una spiegazione che tarda ad arrivare.
Giro i miei occhi e mi imbatto nella gente ammassata nella metropolitana mentre arriva all’ultima
fermata che ci lascia ai piedi del Louvre. Gente che mangiucchia croissant pieni di marmellata
mentre di indica a vicenda la grande piramide di vetro.
Un rincorrersi di luoghi fantastici, di viaggi incredibili che mi danno speranza, liberano la mia
fantasia e mi mostrano mete meravigliose. Sto girando per le strade di Praga sopra il ponte Carlo
quando…

“Bene signori e anche per oggi è tutto” una voce squillante mi risveglia. “Ci vediamo domani per
un’altra seduta de il Viaggio. Spero che vi siate rilassati, e mi raccomando continuate anche a casa
con gli addominali”.

E già è solo la mia istruttrice della palestra. E io che credevo di aver intrapreso la mia grande fuga.

                                                                                                                         Annachiara

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