22 febbraio 2012

Una panchina

Mi sono chiesta tante volte come sarebbe stata la mia vita se mai avessi preso delle scelte differenti. Sicuramente mi avrebbero portata in altre direzioni, a fare altre esperienze, ma non so se sarei stata più felice. Forse si… forse no. Ma la storia, o comunque la nostra vita, non si fa con i “se” e con i “ma”. Cliché lo so, ma sapete cosa si dice delle frasi fatte, si anche io le odio, ma al loro interno hanno questo significato universale che tutti capiscono e allora eccola qua piantata tra le righe a sottolineare un concetto fondamentale. Sono qui. Come ci sono arrivata e perché non importa. Motivi che rimangono sepolti tra le pagine di un’esistenza che frenetica si consuma e va avanti, ma la cosa fondamentale è proprio questa. Sono qui
In questo momento con tutti i miei ricordi e le mie esperienze, con tutto il carico emotivo di mille storie condivise che mi trascino dietro. E quindi? E quindi un bel niente, solo affermarlo è una grande conquista, perché rendersi conto di una cosa tanto semplice, quanto fondamentale è proprio fuori dal mondo. O perlomeno così continuano a ripetermi, mentre racconto di me.
Ieri sono andata al parco, cosa del tutto naturale e comune. Quanti di voi ogni giorno vanno al parco? Bene sono andata al parco che si trova vicino casa mia e mi sono seduta su una panchina ad osservare le foglie che cadevano. L’autunno con i suoi sentimenti decadenti di  fine imminente mi ha sempre affascinato. La gente che passava mi indicava chiedendosi continuamente “Ma quella che cosa sta facendo?”, “E’ pazza a starsene lì tutta sola senza fare niente!”.
Eppure che cosa stavo facendo di così fuori dal comune? Stavo seduta a pensare con un libro aperto sulle ginocchia. Un libro bellissimo, se lo volete proprio sapere, toccante e assolutamente inaspettato come un acquazzone estivo: “Sing me to sleep”. A parte questo stavo lì a guardare la solitudine di quella macchia di verde, la gente arrivava e se ne andava. E io lì da sola. Non aspettavo nessuno, non stavo con nessuno, non stavo facendo niente. Uno di quei pomeriggi autunnali con il cielo grigio, una leggera brezza che faceva danzare le foglie secche e un’aria di assoluta incertezza. Novembre in tutta la sua gloria. E io non  avevo un bel niente da fare. O meglio a casa mi aspettava un bel mucchio di faccende da svolgere eppure me ne stavo seduta lì, su quella panchina e i passanti mi prendevano per pazza. Come se loro con le tenute da jogging, le loro carrozzine da spingere e i loro cani da portare a spasso avessero il diritto di decidere che cosa fosse normale oppure no, come se il mio essere introversa fosse una colpa, una malattia da estirpare.
Nella quiete di quel pomeriggio, con il sole che calava sempre più, è arrivato un ragazzo, avrà avuto più o meno la mia età. Girava a maniche corte e mi sono ritrovata a pensare: “Ma come fa? Non ha freddo? E’ completamente matto”. E mentre pensavo l’ho visto togliersi i pantaloni della tuta e iniziare a fare mosse strane nell’aria. Avete presente le mosse di arti marziali? Solo meno violente e senza precisione. Sembrava quasi che stesse a pungolare l’aria senza un reale motivo. Più lo guardavo, più cercavo un senso, più mi dicevo che era un folle. Ad un certo punto ha iniziato a prendere manciate di terra e a lanciarle in aria come se fossero coriandoli. Improvvisamente ha iniziato a correre ed è scomparso. Volevo seguirlo ma era troppo veloce e poi continuavo a ripetermi che non aveva senso. 
Eppure per lui le sue mosse lo avevano eccome un significato, come il mio starmene seduta su una panchina a fissare apparentemente il vuoto. Pazzia e normalità sono solo delle etichette che possono essere attaccate e staccate a piacimento. È solo una questione di percezione, ma soprattutto di egoismo. Siamo talmente attaccati a noi stessi che le uniche cose che vediamo sono le nostre azioni, e sono le uniche per noi concepibili. Tutto quello che ci è estraneo viene catalogato come folle. Ma d’altronde la pazzia è ciò che ci tiene sani e vivi e la nostra follia è semplicemente la normalità della nostra vita.
Annachiara

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