30 settembre 2011

Eletto per caso, rieletto per scelta

Sembrava che niente fosse cambiato per Livio, ma in realtà in un nano secondo tutto si era trasformato e si era trovato catapultato da uno studio notarile di periferia alla poltrona di Sindaco. Era sempre stata la sua più grande ambizione e aveva lottato con tutte le sue forze per riuscirci. A cinquant’anni poteva dire di essere arrivato in alto, di aver raggiunto la cima, l’olimpo delle persone che contano davvero.
Aveva compiuto tutti i passi che ci si aspettava da lui. Aveva trovato un grande alleato nel presidente di un’azienda farmaceutica della zona che lo aveva sponsorizzato per tutta la campagna elettorale. Si era unito a un partito forte che lo aveva sostenuto. Aveva ingaggiato una giovane ragazza che gli faceva da tutor indicandogli in ogni momento che cosa dovesse fare. E in ogni momento che lo separava dalle elezioni pensava che ce l’avrebbe fatta, e l’ottimismo non lo aveva mai abbandonato.
Aveva minacciato i suoi figli di non fare sciocchezze che potessero essere usate contro di lui, come droga o scandali, aveva lasciato la sua amante, perché la sua doveva essere la “famiglia perfetta” quella da vendere in prima pagina come esempio, anche se tutto era tranne che priva di pecche. Aveva comprato sua moglie per rimanergli accanto con ogni sorta di regali e aveva provveduto a liberare tutti i suoi parenti da qualsiasi sorta di problemi. Doveva essere pulito, a prova di qualsiasi indagine investigativa che qualche suo oppositore potesse condurre. 
E ce l’aveva fatta. Si sentiva una sorta di eroe, di quelli che salvano il mondo. O una sorta di Atlante che sosteneva il mondo sulle sue spalle. Una specie di super uomo. Non era mai riuscito a combinare nulla di buono nella vita, non era mai riuscito a portare a termine nessun progetto. Ma in quel momento poteva dire di aver raggiunto i suoi obiettivi.
Le elezioni erano state una sofferenza immane, tenere il conto dei voti nei seggi, perderne qualcuno e assicurarsene qualcun altro. Vedere da ogni parte volti scuri, che leggevano nomi, scrutavano la folla che aspettava. E tutti che voleva esaminare tutto, trovare la più piccola irregolarità per assicurarsi la vittoria in nome di un assalto alle urne come neanche nei  momenti più fulgidi  della nostra storia, come se ne andasse davvero della loro sopravvivenza. Dopo ore di attesa però il verdetto era stato definitivo, una maggioranza schiacciante. Livio aveva vinto, era Sindaco.
Non sapeva esattamente perché così tante persone avessero votato per lui. Forse per la sua aria onesta, i suoi modi gentili. Forse perché lo conoscevano tutti come un bravo padre di famiglia, nonostante i mille scheletri che nascondeva accuratamente nell’armadio. In realtà aveva vissuto nella paura, credendo che la sua amante, Rachele, una professoressa di scuola media, lo smascherasse davanti a tutti nel pieno della campagna elettorale. In realtà lei si era trasferita in Argentina con Pavel, il suo insegnate di tango e secondo lei Livio poteva “anche andare a farsi…”.
Una sorta di liberazione. Erano seguiti giorni di festa, di cene senza fine, di bevute, aperitivi, congratulazioni. Ogni abitante della città passava nel suo studio, nella sua abitazione, lo fermava in mezzo alla strada solo per fargli i complimenti. Era felice. Poche volte  nella vita era stato così soddisfatto. Ora aveva il potere, poteva girare indisturbato, riverito e protetto. 
Dopo i primi quindici giorni di pura euforia però il suo consigliere più anziano, Luigi, lo chiamò nel palazzo comunale:
- Livio devi scegliere gli assessori, convocare la giunta, iniziare le attività.
Una doccia gelata, non si aspettava tutti questi obblighi ma si presentò diligente nella sede del suo governo, del suo regno e in qualche ora scelse amici e conoscenti, sponsor e sciacalli come assessori e consiglieri. L’opposizione era tranquilla si aspettava una collaborazione e comunque ancora non conoscevano bene il nuovo Sindaco. Per litigare e scagliarsi contro di lui c’era sempre tempo.
Livio riprese la vita di tutti i giorni, trasferendo il suo studio dalla periferia in pieno centro, ricevendo sempre più nuove richieste di consulenze e nuovi lavori. Assunse nuovo personale perché non riusciva più a tenere testa agli impegni. Non si presentava mai in comune, e non si preoccupava nemmeno di verificare se la sua maggioranza si occupasse di qualcosa. 
I progetti si accumulavano nella sua scrivania, le mail intasavano la casella di posta elettronica, fogli lettere e buste ovunque. Gli uffici erano nel caos, portavano a termine le pratiche lasciate in sospeso dall’Amministrazione precedente ma non sapevano che fare. 
Ogni giorno si presentava qualcuno a chiedere qualcosa me non c’era nessuno che li accogliesse e li ascoltasse. 
Dopo un paio di mesi Livio si presentò nel suo studio in Comune deciso a vedere qualcosa ma rimase pietrificato sotto il cumulo di carta che aspettava sul tavolo. Convocò in fretta una giunta con Segretario e Assessori e con i pochi che si  presentarono preparò un piano per ovviare ai problemi più urgenti, ognuno secondo le proprie competenze. Qualcuno accettò, altri se ne andarono non interessati a rimboccarsi le maniche. 
Livio intanto riceveva una valanga di inviti a cerimonie a cui intervenire, inaugurazioni da attendere, feste a cui partecipare. E non faceva in tempo ad andare ad una che ce ne era un’altra subito dietro l’angolo. Fare il Sindaco non era così semplice.
Il suo cellulare squillava continuamente con sempre nuove richieste e seppur non faceva niente di male, anzi dava i ritagli del suo tempo all’amministrazione del territorio, non otteneva risultati soddisfacenti ma solo lamentele da tutte le parti. Era stanco, aveva voglia di mandare tutto all’aria. Dopo un anno dei dieci assessori che aveva a inizio mandato ne erano rimasti la metà e questi si occupavano saltuariamente delle materie di propria competenza senza impegnarsi davvero. Dopo due anni solo tre. Un disastro. Gli uffici oberati di lavoro continuavano ad inveire contro una tale assurda giunta e l’opposizione aveva già portato avanti tre petizioni per mandare all’aria la maggioranza ma Livio era riuscito a salvare la poltrona per il rotto della cuffia. Non riusciva a capacitarsi come era potuto accadere. Perché il Comune era allo sfascio? 
I vandali imperversavano per tutto il territorio, le scuole cadevano a pezzi, il circolo degli anziani era chiuso, la proloco da più di un anno non organizzava neanche mezza festa. Un tempo ogni mese c’era una esposizione di quadri o di fotografie nella sala-mostre vicino al bar e girava sempre un sacco di gente da fuori città. 
Sempre più preoccupato per come andavano le cose Livio decise di chiamare il vecchio consigliere Luigi, che era una vita che non sentiva, per chiedergli spiegazioni.
- Livio ma che pretendi? – gli domandò scettico Luigi – di tutte queste cose prima se ne occupava il Comune, c’erano Assessori capaci e volenterosi. Voi a mala pena fate il minimo indispensabile. Non fare il male non significa fare il bene. Di che ti lamenti?
Le parole di Luigi gli rimbombarono nel cervello per diversi giorni mentre leggeva il testamento alla famiglia scandalizzata di uno dei suoi clienti, mentre sorseggiava un  caffè nel bar del centro deserto, mentre sfogliava il giornale dal barbiere.
“Non fare il male non  significa fare il bene”. 
Una domenica pomeriggio girava per il centro guardandosi intorno e rendendosi conto di come era andato tutto a scatafascio senza che lui avesse neanche alzato un dito per impedirlo. Si l’universo va verso l’entropia e il disordine generalizzato ma da qualche parte doveva pur esserci un’immensa donna delle pulizie che metteva ordine spazzando via la polvere interstellare. Come non aveva potuto pensarci prima? Perché ci volevano quelle parole di Luigi per svegliarlo dall’apatia? Perché si era preso una tale responsabilità? Lo capiva bene per i soldi e la gloria. Ma lui non voleva essere il responsabile della fine e del declino della sua città. Doveva fare qualcosa. “Domani, domani mi metto sotto e sistemo le cose”. Tornò a casa con un vassoio di paste per la sua famiglia che non esisteva e poi andò a letto sperando in un giorno migliore. Ma si sa come recita il detto non rimandare a domani quello che puoi fare oggi.
Una catastrofe. Quel lunedì la città si risvegliò sotto il peso di una terribile alluvione. E tutti chiesero aiuto al Comune l’ente più adatto per affrontare una tale calamità, quello che in teoria doveva avere i mezzi per affrontarla. E Livio come Sindaco se ne doveva occupare in prima persona. Si precipitò in piazza dove una folla di spettatori si aspettava una  sorta di miracolo da lui. Entrò nel palazzo si sedette alla scrivania per fare il punto e subito si rese conto che il suo Comune non aveva partecipato ad un progetto per la condivisione di fondi e mezzi utilizzabili in casi di emergenza come quelli e quindi era tagliato fuori dal circuito che si era messo in moto già dall’alba per ovviare alla situazione. La protezione civile era un gruppo che quasi non si reggeva in piedi. Erano allo stremo. Ma non si diede per vinto. 
Organizzò un gruppo di volontari, mise a disposizione fondi personali per l’acquisto e il noleggio dell’attrezzatura indispensabile, guidò in prima persona  una missione di soccorso per le famiglie bloccate dall’alluvione, fece una serie di telefonate per acquisire lo stato di emergenza e pianificò un’evacuazione generale delle zone più colpite. Si rimboccò le maniche per far si che le sue mancanze non fossero penalizzanti per la sua città. 
Furono giorni difficili, di duro lavoro, di aiuto, solidarietà, condivisione. Tutta la popolazione partecipò come poté, seguendo la bandiera issata dal suo Sindaco. Livio era stremato ma si era ripromesso di non veder crollare la sua città e l’avrebbe puntellata lui stesso con le proprie mani pur di vederla in piedi. Anni di negligenza si facevano sentire ma fu così carismatico, forte e persuasivo che non ci fu una sola voce contraria, nessuna lamentela solo sforzo, sacrificio, lavoro. 
Dopo un mese le cose iniziarono a migliorare e Livio riuscì ad ottenere i mezzi per sopravvivere, non solo per ricostruire le zone danneggiate e riemergere dal naufragio dell’alluvione. 
Quando la situazione si stabilizzò ripristinò la giunta cambiando gli assessori e unendo alla propria squadra solo persone volenterose capaci di mettere a servizio della comunità il proprio tempo, le proprie capacità e la propria passione. Lui per primo si impegnò ad esserci sempre, a non demordere, a farsi in quattro e dopo un paio di anni il suo paese tornò quello di un tempo e alla fine del mandato, alle nuove elezioni fu rieletto perché lui era “un Sindaco capace”. 
Sempre l’ultimo insegnamento di Luigi, che era scomparso durante l’alluvione, lo consigliò nelle sue scelte e nel suo cammino di vita. E nel suo studio, sopra la sua poltrona, chi andava a parlargli durante le ore di ricevimento poteva leggere “Non fare il male non significa fare il bene”.

Annachiara

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